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Elogio del sercio, il pallone di una volta

Quanti chili pesava la sfera della nostra scuola calcio?

22 Dic 2021 - 07:22

Linguisticamente parlando, er sercio è l’evoluzione romanesca del “selcio”, da “selce” – la roccia sedimentaria composta di silice che dà vita ai sampietrini, caratteristici del lastricato nel centro storico della capitale. Ma il vocabolo in città è usato praticamente da tutti in un altro senso, calcistico-culturale, per definire una peculiare caratteristica del pallone da gioco: il sercio è il pallone marcio, pesante, possibilmente rovinato, usurato dal tempo e dal terreno (in senso letterale) di gioco.

Per estensione, l’espressione è talvolta utilizzata anche in riferimento al calcio dei grandi, quello dei professionisti, per indicare un tiro particolarmente deludente: «j’ha tirato ‘n sercio». Nata nei peggiori campi sportivi della campagna laziale e del suo capoluogo, la parola “sercio” indicava originariamente il pallone protagonista delle partite provinciali, belle cattive, rissose e poco leali.

Ce lo vedete voi un incontro di 2a categoria disputato con un Nike o un Puma di ultima generazione? Noi no, eppure è esattamente ciò che sta accadendo oggigiorno – in linea con uno sviluppo del calcio semi-professionistico italiano che, povero di talenti, si illude di crearne costruendo campi in sintetico e dotandosi di palloni all’ultima moda. E così, se ancora sopravvivono i vecchi spogliatoi sudici e militareschi, lo stesso non possiamo dire dei palloni: gonfi al punto giusto, di ultima generazione (qualsiasi cosa voglia dire), leggeri, puliti. Tutto il contrario dei vecchi e cari palloni di provincia: sporchi, pesanti, terribilmente logori, taglienti.

Il pallone è tuo amico, il sercio no.

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