Il nome nasce dall’acronimo di Inspec Ethylene Oxide Specialties e racchiude un presagio. Rappresenta l’alba di un nuovo inizio: da Ineo, che in latino indica un “nuovo inizio”, Eos, la dea dell’alba e Neos, che in greco rivela qualcosa di “nuovo e innovativo”. Jim Ratcliffe consultò un dizionario di latino e uno di greco per averne certezza. Poi decise: «La chiameremo Ineos». Quelle cinque lettere messe una dietro l’altra l’avevano convinto. Sarebbe stato solo l’inizio. E mai nome fu più azzeccato.
Ineos è un colosso della chimica ed uno dei brand più conosciuti nel mondo dello sport. I dollari di Ineos hanno immesso nuova linfa nell’industria sportiva: investimenti che non generano dividendi ma alimentano un sottobosco intangibile. «Nessun obiettivo finanziario», garantiscono dall’azienda. Nessun rischio, nessun profitto: «L’unico rischio è non raggiungere i propri obiettivi», è il motto che ripete Jim Ratcliffe, fondatore e figura centrale nell’universo Ineos.
Ma cosa porta un’azienda che produce carburanti e lubrificanti, e che basa la propria attività su raffinerie e giacimenti di gas offshore, ad ambire a diventare uno dei marchi più potenti nello sport?
Ineos ha esteso i tentacoli in più discipline: calcio e ciclismo per iniziare, poi atletica e vela e in ultimo Formula 1. Un totale di 470 milioni di euro investiti nello sport. Visibilità, associazioni positive garantite. Ma la mission sembra piuttosto ambiziosa: «Ogni azienda ha il proprio CEO e team di leadership, ma ognuno gestisce la propria attività in modo abbastanza indipendente», spiega al Financial Times David Brailsford, direttore del Team Ineos di ciclismo.
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