Storia di un calciatore che non aveva paura di prendere calci in faccia. Dentro e fuori dal campo
In silenzio Jean–Pierre e Florence si abbracciano fuori lo studio medico, restano così a lungo, stretti l’uno all’altra in amore e tremore sotto lo sguardo delle persone, ricordano gli amanti di Egon Schiele, il celebre quadro del grande pittore austriaco; sono nudi di fronte al loro dolore, i corpi nascondono il volto, espongono la debolezza; siamo agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, nell’abbraccio di Jean–Pierre e di Florence c’è la tragica malinconia di Schiele ma anche la fragile tenerezza dei fidanzatini di Peynet; da pochi minuti la coppia ha saputo che la primogenita Emily non potrà mai parlare o camminare, meglio darle una tranquilla vita da vegetale in una clinica, fino alla morte, per sollevarla dalla sofferenza. Tetraparesi, una sentenza di morte.
Lui è Jean–Pierre Papin, uno dei calciatori francesi più famosi al mondo, è un attaccante rapido, segna gol impossibili ne sbaglia di facili, non ha una grande tecnica ma una feroce determinazione che lo porta a vincere il Pallone d’Oro nel 1991; per il suo rapidissimo modo di calciare, che lo porta a rischiare il ridicolo se la palla non va in rete, si parla di Papinades: gol spettacolari, ai limiti dell’improbabilità fisica, calcia in modo stranissimo – quando pare aver perso il tempo sulla palla, che rimbalza in asincrono, lui la colpisce così da costringerla a prendere una traiettoria non prevista.