Il calcio e la propaganda di Bolsonaro

Le mosse del presidente brasiliano in epoca di Covid

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Il grido della folla raccolta tra le strade di Rio de Janeiro nel settembre 2009 per l’assegnazione delle Olimpiadi 2016 era quello di un popolo felice, in crescita e allegro mai come in quell’occasione. Il lavoro certosino dell’allora presidente Luiz Inácio Lula da Silva, il primo presidente brasiliano davvero in grado di creare una classe media in un paese grande come l’Europa e con 200 milioni di abitanti, aveva portato la più ribelle delle nuove economie a organizzare di fila mondiali di calcio e Olimpiadi.

Un colpo mai riuscito a nessun’altra nazione. Una doppietta sportivo-culturale che avrebbe dovuto dare un impulso netto all’economia dell’enorme paese sudamericano. L’allora capo di stato, tifoso del Corinthians e in ottimi rapporti con Kaká, che nel 2004 fu eletto ambasciatore contro la fame del PAM (Programma di Alimentazione Mondiale), aveva posto una rampa di lancio nuova di zecca dalla quale l’aeromobile brasiliano sarebbe dovuto decollare. Ma tutto ciò non accadde.

Il risultato di questo fallimento è più che visibile nella situazione odierna, che vede il Brasile in grave crisi economica a causa di una forte diseguaglianza sociale e seconda nazione nel mondo con più contagi da Covid-19 dopo gli Stati Uniti. Il tutto frutto di un ostracismo al lockdown da parte dell’attuale governatore Jair Bolsonaro, storico nemico di Lula, il quale, al di là di un populismo politico di moda oggigiorno, si è fatto ritrarre spesso con una serie di maglie di vari club brasiliani, cercando di non sbandierare mai ufficialmente la sua fede calcistica, a differenza del suo arcirivale.

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