Fenomenologia del “nuovo Pelé”

Un omaggio per gli ottant'anni di “O'Rey”

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Trovare il “nuovo Pelé” è facile: basta cercare in archivio. Non si contano, infatti, i nomi di chi, da giovane promettente, è stato ribattezzato subito così, “il nuovo Pelé”. Anche da chi magari il suddetto Pelé, Edson Arantes do Nascimiento, l’altro giorno ha compiuto 80 anni, non l’ha mai visto. Cosa significa, poi, essere “il nuovo Pelé”? Quali sono i prerequisiti? Vincere tre Mondiali? Segnare oltre mille gol in carriera (1284 per la precisione) di cui tre proprio in due finali dei Mondiali (Svezia 1958 e Messico 1970)? Ridefinire un certo ruolo in campo? Il numero dieci, certo, ma è difficile, anche perché parliamo di un altro calcio, di cinquant’anni fa almeno: Pelé è stato attaccante, sicuramente, ma non lo potremmo considerare anche un fantasista-trequartista? È stato anche capace di gesti tecnici assoluti e impensabili, impossibili da replicare come “El drible de vaca” al Mondiale del 1970, lo stesso in cui saltò sulle spalle del povero Burgnich in finale all’Azteca.

Insomma, è abbastanza difficile trovare caratteristiche che combacino con un nuovo “O’ Rey”. No, di Pelé ce n’è stato uno solo (tranne un omonimo visto anche all’Inter, ad esempio) ed è diventato quasi un genere letterario la ricerca di un suo presunto erede nel corso degli anni. Con risvolti anche comici, a dire il vero. Andiamo a vedere, comunque, alcuni nuovi Pelé annunciati e mai (o non ancora) rivelatisi tali, non sempre per colpa loro. Quindi niente Neymar, niente Zico (“Il Pelé bianco”) o altri non brasiliani chiamati “Il Pelé del loro paese d’origine”, tipo Eduard Streltsov. E nemmeno Teofilo Cubillas, il leggendario peruviano che era stato indicato come suo erede dal brasiliano praticamente subito dopo aver appeso le scarpe al chiodo. 

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