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Cuore tifoso Milan, ecco tutte le ombre rossonere

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Non c’è niente da fare, nemmeno quando vinci Verona porta dietro di sé un buon sapore, una buona sensazione. Va detto che il mood negativo ancora prima che dalle questioni di campo e di pallone arriva dagli spalti, da quel solito ignobile pezzo degli spalti del Bentegodi, e ancora peggio – e questa è stata una sgraditissima sorpresa – dalla società Hellas Verona, che ha messo nero su bianco tramite i social network l’indifferenza, il rifiuto a prendere posizione, persino lo sberleffo di fronte agli ululati razzisti nei confronti di Franck Kessie e ai cori indirizzati verso Gigio Donnarumma.

A parole, tutti sempre bravi a sostenere le cause di civiltà, di convivenza, di valori; poi, se si tratta di dovere andare a mettersi fronte contro fronte agli ultras, molti preferiscono le scorciatoie, il volemose bene, a costo – come minimo – di procurarsi degli enormi danni di immagine, di macchiarsi. Tutto nelle ore in cui, e anche questo è giusto ricordarlo in questa sede, la Juventus, invece, prova a dare un segnale importante ribellandosi a una situazione insostenibile, il cui aggettivo perfetto è “criminale”.

Per quanto riguarda quello che ci sta più a cuore, vale a dire l’Associazione Calcio Milan e quello che mette sul rettangolo verde, beh, diciamo che difficilmente tre punti in trasferta hanno prodotto comunque così tante nuvole. Preoccupazioni che con ogni probabilità sono anche amplificate dal derby imminente, da un confronto con l’Inter che forse – anche se la natura della gara, come è noto, sfugge ad ogni logica – sarebbe stato meglio avere più avanti, quando si troverà una soluzione a un rebus che, al momento, è tipo quelli delle ultime pagine della Settimana Enigmistica, quelli per “solutori esperti”.

Almeno per Marco Giampaolo, che nelle dichiarazioni del post-Verona ha espresso la volontà di non volere ancora abbandonare il suo progetto originale: perché in realtà, la situazione appare facile, leggibile, è passare definitivamente al 4-3-3, il meccanismo che il mercato, innanzitutto, non è riuscito a superare, a rendere quantomeno alternativo, intercambiabile. E infatti, sempre dagli spogliatoi del Bentegodi, il mister ha pronunciato due paroline, “difetti strutturali”, che sono suonate molto male alle orecchie dei più attenti, e certamente della società: perché il significato è quello di una rosa, ma soprattutto della centralità nel progetto di certi giocatori che non consentono di sviluppare idee diverse.

Suso e Piatek sono imprescindibili, in questo Milan, ma sono anche due giocatori fortemente condizionanti, perché “monospartito”: sanno fare benissimo una cosa, ma solo quella, lo spagnolo sull’esterno destro e il polacco al centro, possibilmente da solo. L’esperimento del primo tempo di Verona, con Paquetà in posizione centrale, da trequartista (o come dicono quelli bravi, sottopunta) e Piatek che partiva da una zona più decentrata per poi stringere in area di rigore è stato un disastro. Con Rebic, e nello schieramento più tradizionale, le cose – eufemismo – sono andate leggermente meglio.

Certo, questa incertezza, questa difficoltà porta tensioni. E le tensioni, specie nello sport, possono essere sviluppate, modellate in modalità positiva o negativa. Questa settimana pre-derby, a Milanello, è veramente decisiva, va al di là dell’appuntamento importantissimo. Può segnare il futuro immediato, il progetto tecnico che sembrava la prima pietra della ricostruzione dell’Elliott-Milan 2.0, quello targato Maldini e Boban. A Giampaolo, apparso poco tranquillo, la patata bollente della preparazione del match. Ai milanisti, invece, una missione apparentemente molto più facile: avere fiducia, sperare, caricarsi, tifare. Cosa che sanno fare benissimo, schema ipercollaudato da troppe stagioni complicate. Aggiungerne un’altra, però, stavolta farebbe male.

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