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Juve: quando parli con Sarri, parla dei calciatori

La vigilia della partita contro il Verona ha detto che gerarchie e idee stanno prendendo forma

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Un'insipida conferenza stampa pre Juve-Verona, che invece sarà una partita per nulla insipida perché affrontata da inseguitrice e con un solo gol realizzato (scusate, ma vivo l'ossessione di osservare questa squadra dalla testa in giù) tra Parma e Fiorentina, diventa un'interessante conferenza di calcio nella quale Maurizio Sarri dimostra di vivere ancora in modo molto plastico l'organico a disposizione. Un'ottima notizia, che conferma in linea di massima ciò che si era già inteso: Sarri è figura meno rigida di quando lo si disegnasse, e forse anche mente più logica di quanto egli stesso abbia voluto rappresentare negli anni attraverso un'immagine fatta di sistematiche prese di posizione.

A queste prese di posizione però - ne sono certo - ci arriverà. Perché Sarri è un tecnico che deve vivere e vuole far vivere le proprie squadre di certezze che verranno a tempo debito difese a spada tratta; un uomo che preferisce l'indicativo, l'esortativo e l'esclamativo a ogni genere di condizionale. Siamo oggi però ancora nel percorso d'immersione individuale dentro la squadra - di quanto Sarri sia più o meno immerso nel mondo Juve conta per il momento molto meno - con già le prime chiare gerarchie che emergono sì dal campo, ma anche dal processo verbale. Gerarchie, ma anche idee che prendono miglior forma. La prima specie (attraverso i ben informati) aveva segnato, per esempio, il sorpasso di Demiral su Rugani già a Ferragosto così come il controsorpasso di Khedira su Emre Can & co. Da vicino, Sarri è un omone. Tutto d’un pezzo. Risponde frontale.

Ha la postura sicura. Lo sguardo di chi ne sa e che, se vuole, può umiliarti. E che anzi spesso dà la risposta alternativa, cioè composta per buona parte da ciò che vuoi sentirti dire. Sono sensazioni forti emanate da una personalità forte. Ma sui calciatori - appunto - un po’ si scioglie, è un Sarri più al naturale, è il Sarri che scende in campo e che con la testa probabilmente non ci esce mai. Cita ed elogia Matuidi e De Sciglio senza domande che li riguardino direttamente, giocatori che per un motivo o per l’altro nei suoi pensieri sembrano stare parecchio avanti. Non nasconde il rammarico per il livello al quale avrebbe aspirato di portare Douglas Costa in tempi relativamente brevi. Ammette tutto ciò che c’è da ammettere su Bernardeschi, ovvero che per la specializzazione c’è tempo (ala per necessità, centrocampista chissà come e quando, attaccante in Nazionale).

Dribbla discretamente bene su Ramsey e Rabiot, Estremizza sulla Premier che non fa il turnover. Si prende il buono della prestazione di Ronaldo a Madrid mettendo al centro i numeri, e quindi il coinvolgimento nuovo di un giocatore passato a giocare al centro della squadra. Però, soprattutto, Sarri tiene la barra dritta su una questione interessante. Ovvero un buon esempio di come intende affrontare le prime criticità: se una cosa non ci riesce bene, la soluzione non è cambiarla, ma capire perché non riesce e quindi farla meglio. Poi farla bene. Infine farla alla perfezione. I compromessi quindi sono altrove: nelle posizioni miste possesso e non possesso, nel chiedere a ognuno ciò che può fare meglio, nello snaturare poco e nello sperimentare poco o niente (perfino su Cuadrado terzino gli è scappata una smorfia o comunque l’espressione dubbiosa di chi ne farebbe volentieri a meno in questo momento). Sull’attuale dorsale ha poco da dire. Solo da continuare a lavorare. I loro nomi sono Bonucci, Pjanic e Higuain (CR7 non lo si conta mai, lui in queste dissertazioni non c’entra davvero nulla). Tre nomi sui quali non tutti gli stessi juventini - chi uno e chi l’altro - non avrebbero scommesso a occhi chiusi.

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