La solitudine dei vinti e dei vincitori

Il calcio nell'epoca della sua riproducibilità tecnica

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Le barricate sul divano di casa o negli stadi le fai per conto delle baronie calcistiche, che creano falsi miti di progresso o di conservazione in un mondo in cui non c’è più nulla da conservare. Ma quasi peggio dei golpisti di mezzanotte che sventolano questa formuletta magica e messianica della Superlega, ci sono i dirigenti di UEFA, FIFA e Federazioni, che dopo essersi nascosti dietro un’etica di cartapesta adesso si preparano a cantare vittoria con una retorica falsamente populista e nostalgica.

Ma guai a sottovalutare il silenzio – a parte alcune nobili eccezioni, giunte soprattutto da Oltremanica – di troppe icone calcistiche: i guardiani della magia, i custodi della mitologia, i taumaturghi del campo, coloro che dovrebbero insorgere per primi contro una catena di montaggio che vuole spremerli, annichilirli, distruggerli, riducendo la loro speranza di vita professionale già cortissima allo stato attuale.

La verità è che dopo questa vicenda umanoide, cioè post-umana, ci sentiamo tutti più soli. Sono soli i dirigenti che operano in stanze chiuse; sono soli i calciatori costretti a reprimere qualsiasi istinto di sopravvivenza e di contestazione; sono soli soprattutto i tifosi, che siano fanatici della curva o telespettatori compulsivi, i quali dopo essere stati allontanati dagli spalti per ragioni sanitarie adesso vengono tenuti lontani dalle grandi decisioni sul futuro di uno sport che, almeno a livello morale, gli dovrebbe appartenere.

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