C'era una volta il catenaccio

E funzionava pure, a detta di molti

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Nelle ultime ore, dopo l’eliminazione bianconera per mano del Porto, si è parlato molto del tema dell’ “identità”: nel caso della Juventus non solo quella italiana, allegriana, “difensivista”, bensì un qualsiasi tipo di identità di cui la Vecchia Signora – al momento ma in realtà già da un paio d’anni – sembra essere totalmente sprovvista. La verità è che consolidare uno stile di gioco immediatamente riconoscibile, qualunque esso sia, è una missione più difficile del previsto. Al momento in Italia sono poche le squadre che possono vantare una reale identità: forse lo Spezia di Italiano, sicuramente l’Udinese di Gotti, il Verona di Juric, il Sassuolo di De Zerbi.

Salendo in parte la Roma di Fonseca e il Milan di Pioli (neanche troppo), un po’ di più la Lazio di Inzaghi ma soprattutto, in alta classifica, l’Atalanta e l’Inter. Queste due sono al momento le squadre con l’identità più immediatamente riconoscibile e “forte” (in tutti i sensi) che abbiamo. La prima è un caso unico dettato dalle condizioni, non riproducibili, che consentono di fare lì quel tipo di gioco con un lavoro fisico e una programmazione ambientale insostenibili per i grandi club. Insomma, l’eccezione che conferma la regola, replicabile al massimo da un Verona ma non certo da una Juventus, da un Milan o da una Roma.

La seconda, invece, sta veleggiando verso il titolo ripescando i manuali tattici del grande Helenio Herrera: Conte ha ritrovato se stesso e l’attenzione difensiva che lo ha sempre contraddistinto, ha registrato la squadra – partendo dalla difesa – e oggi segnare all’Inter diventa un “obiettivo” (gli inglesi dicono goal) assai ambizioso. Davanti poi si affida alle ripartenze – scusate, oggi si dice transizioni offensive – e ovviamente a Romelu Lukaku.

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