Il 1° maggio 1988 due modi diametralmente opposti di intendere il calcio si scontrano al San Paolo: a spuntarla, contro il Napoli di Maradona, sono i rossoneri allenati da Arrigo Sacchi
Lo sport, come la vita, è pieno di ‘sliding doors’: fare in tempo a salire sul treno prima che le porte si chiudano è questione di un attimo, ma può avere un impatto enorme sul futuro. Qualcosa del genere è successo al Milan, il 1° maggio 1988. Quel giorno i rossoneri allenati da Arrigo Sacchi vanno a giocarsi la vetta della classifica in casa della squadra al primo posto, il Napoli di Ottavio Bianchi, guidato in campo da Diego Armando Maradona. Sono due filosofie a confronto: da una parte i padroni di casa con marcature a uomo e fiducia totale, quasi religiosa, nelle magie del numero 10, dall’altro la zona a tutto campo, la tattica prima di ogni altra cosa e la filosofia del ‘tutti sono utili, nessuno è indispensabile’ proposta dal Vate di Fusignano, alla sua prima stagione rossonera. In palio, quindi, molto più del primo posto: c’è una rivoluzione calcistica all’orizzonte.
Per capire lo svolgimento di quel match, valevole per la terz’ultima giornata del campionato, è importante inquadrarne il contesto: il Napoli, campione d’Italia in carica, dopo un ottimo girone d’andata (una sola sconfitta, tra l’altro proprio contro il Milan a San Siro) è in forte calo in quello di ritorno. Il Milan, invece, dopo un inizio un po’ complesso ha iniziato a ingranare: non solo non perde in campionato dal 13 dicembre, ma arriva alla partita del San Paolo da tre vittorie di fila, l’ultima delle quali nel derby contro l’Inter. La classifica (con i due punti per vittoria) dice Napoli 43, Milan 42. Basta quindi un successo per spuntare davanti ai partenopei a due giornate dalla fine. Non è facile, però: l’atmosfera allo stadio è incandescente, ribolle di passione, i tifosi sanno che una vittoria degli azzurri varrebbe più di mezzo titolo. Lo stesso Maradona, appena prima del fischio d'inizio, paragona la partita a una finale di Coppa del Mondo, e lui ne sa qualcosa. Il Milan parte senza timori reverenziali, ma Roberto Donadoni e Ruud Gullit, marcati rispettivamente (e rigorosamente a uomo) da Giuseppe Bruscolotti e Tebaldo Bigliardi, sembrano imbavagliati e la prima mezz’ora scorre senza pericoli particolari. Al 36’, però, i rossoneri battono un colpo: Carlo Ancelotti viene atterrato a pochi metri dall’area di rigore, la punizione calciata da Alberico Evani viene deviata dalla barriera ma il pallone arriva a Pietro Paolo Virdis, che con una rapida conclusione beffa Garella e regala l’1-0 ai suoi. Lo stadio piomba nel silenzio, il Napoli non solo non reagisce ma subisce la forte pressione rossonera: ci provano Mauro Tassotti, Franco Baresi, ancora Ancelotti, con conclusioni dalla lunga distanza che confermano la voglia di attaccare da parte di tutti gli uomini in campo con la maglia rossonera. Allo scadere del primo tempo, però, entra in gioco il fattore Maradona: il Pibe de Oro sfrutta al meglio una punizione dai 20 metri col suo magico sinistro, Giovanni Galli riesce solo a sfiorare ma il pallone entra in rete. Si va sull’1-1 all’intervallo.
Nel secondo tempo chi si aspettava un Napoli galvanizzato dal gol resta deluso. Sacchi vuole vincere e mette in campo Marco Van Basten, rientrato da poche settimane dopo uno stop di sei mesi, il Milan riprende a macinare gioco, Gullit continua a far impazzire la difesa avversaria e proprio da un suo cross, al 68’, arriva la rete del 2-1. L’autore è ancora Virdis, con un bel colpo di testa schiacciato che beffa il portiere partenopeo. Il Napoli è alle corde e nonostante la mossa della disperazione di Bianchi, che toglie Bruscolotti per inserire Andrea Carnevale, i rossoneri fanno tris proprio con Van Basten, che sfrutta al meglio l’ennesima eccezionale volata del riccioluto connazionale firmando il 3-1 a porta vuota. Ci sono tutti i presupposti perché il Milan dilaghi, ma in realtà i padroni di casa hanno un ultimo sussulto d’orgoglio, col 2-3 firmato da Careca di testa su cross di Francesco Romano al minuto 78. È solo un’illusione, però. I rossoneri controllano fino al fischio finale e portano a casa vittoria e primato. “Ha vinto la squadra migliore, questo pubblico lo sta sottolineando” dirà Sacchi pochi secondi dopo il fischio finale. Ed è vero: gli 80mila del San Paolo applaudono una prestazione di assoluto livello, accettando con grande dignità non solo la sconfitta, ma anche l’ideale passaggio di consegne. Per il Milan è la rampa di lancio verso il successo in campionato: nelle due partite successive ai rossoneri basteranno i pareggi contro Juventus e Como per vincere il loro undicesimo scudetto, primo successo dell’era Berlusconi. Dall’altra parte il Napoli, in affanno più totale sia dal punto di vista fisico sia da quello dell’armonia di spogliatoio, perderà anche le due partite finali, contro Fiorentina e Sampdoria, e chiuderà secondo.
Vincendo lo scontro diretto, quindi, il Milan riesce a salire su un treno decisamente importante prima che le ‘sliding doors’ si chiudano: grazie alla vittoria in campionato, infatti, arriva la qualificazione alla Coppa dei Campioni 1989/89 e da lì tutta una serie di successi che caratterizzeranno la storia rossonera non solo durante l’epoca di Sacchi, ma anche negli anni successivi con Fabio Capello e, ancora più avanti, con Carlo Ancelotti allenatore. La storia non si scrive con i ‘se’ e con i ‘ma’: difficile, però, immaginare il calcio come lo viviamo oggi se quel Milan non avesse avuto successo in quella particolare occasione. Quella partita del 1° maggio 1988 è da considerarsi assolutamente decisiva.