Essere Andrea Agnelli

Nel caso della Super League, fallita dopo appena 48 ore, il presidente della Juventus è diventato il cattivo numero uno o il grande sconfitto

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Primo ricordo di Andrea Agnelli legato alla Juventus: «Ho i pantaloni corti, sono a Villar Perosa con papà. È l’estate dell’82, ho sette anni e l’Italia ha appena vinto i Mondiali. Andiamo su e mio padre mi chiede accanto a chi mi voglio sedere. Paolo Rossi, gli dico. È cominciato così».

Dopo l’annuncio della creazione della Super League, Andrea Agnelli è diventato il cattivo numero uno, per poi emergere come uno dei grandi sconfitti, con la sospensione (o meglio il fallimento) del progetto dopo appena 48 ore.  Il presidente della Uefa Aleksander Ceferin gli ha dato del bugiardo e dell’avido («Non ho mai visto una persona in grado di mentire così di continuo, è veramente incredibile. Non parlerò molto di Agnelli, è una delle più grandi delusioni, anzi la più grande delusione»). Urbano Cairo, presidente del Torino e soprattutto padrone di Rcs (vedi Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, per sintesi) gli ha dato del «Giuda».

Per capire chi è oggi Andrea Agnelli è forse utile andare a ritroso per dipanare per quanto possibile il complicato intreccio familiare in cui è cresciuto e si è mosso, comprendere la sua concezione della Juventus e del calcio.

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