Il più italiano degli allenatori, dalla scuola di Nereo Rocco
I divi non li ho e se li avessi li pregherei gentilmente di mettersi al totale servizio della comunità. Il divismo è una piaga, io lavoro per costruire un’allegra, briosa, coraggiosa compagnia”. È il manifesto esistenziale di Nevio Scala, l’allenatore che ha tanto amato la provincia da portarla con sé fino ai vertici del pallone. L’uomo Nevio Scala è da ritrarre alla luce di due dispositivi, il calcio e la letteratura di primo Novecento.
Nato dalla penna congiunta di Verga e Joyce, il tecnico veneto riflette i concetti propri dei romanzieri come la resistenza al progresso, in un atteggiamento di radicale opposizione all’innovazione. Nevio Scala disconosce il football moderno; al sopraggiungere della “fiumana del progresso”, quasi fosse un protagonista de I Malavoglia, salpa la Provvidenza navigando l’onda rischiosa del suo credo d’antico retrogusto.
Il background culturale e calcistico di Nevio Scala vive indubbiamente del lascito particolare di Nereo Rocco. Il Paròn segna il suo periodo da fluidificante centrocampista. Da giocatore, Scala si ritaglia uno spazio nel Milan campione d’Europa e d’Italia nel ’68, formazione vincente fondata sulle geometrie di Rivera e il fiuto di Pierino Prati.