Azeglio Vicini, il papà di Italia '90 e lo "zio" Mundial '82

La cara vecchia scuola federale, quella di Azeglio, del Vécio, di Cesare Maldini, ha realizzato i sogni di 50 milioni di italiani

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La scomparsa di Azeglio Vicini, e l'emozione, i tributi che essa sta portando con sé, ci dicono per fortuna che nei calciofili italiani la cultura della sconfitta resiste, seppure nascosta, sepolta sotto l'imperante sottocultura sportiva del nostro Stivale. Perché Vicini, a stretto giro di palmares, ha perso, è stato uno strenuo "perditore", un perenne sfiorare di glorie che lo avrebbero catapultato a suon di albi d'oro nell'Olimpo dei mister nazionali e non solo.

L'Europeo giovanile perso ai rigori con la Spagna alla guida di quella splendida Under diventata a stretto giro di posta una splendida Nazionale, incagliatasi in semifinale sia all'Europeo 1988 (con l'ultima Urss di Lobanovski) e soprattutto al Mondiale casalingo del '90, un solo attimo di blackout nella luce delle notti magiche, e buonanotte a un trionfo epocale. E però, qualcosa è rimasto, eccome se è rimasto.

Come un gruppo pieno di talento come forse mai nessun altro nella storia delle pedate azzurre, talento però modellato, modulato dalle doti tecniche e soprattutto umane di un uomo assai lontano dai metodi e dalle rivoluzioni tattiche di un Michels o del suo successore Sacchi, ma vissuto su un campo di calcio, profondo conoscitore di cosa passa tra i singoli fili d'erba e si insinua nelle gambe e nella testa dei calciatori bravi e meno bravi. E semplice, vero, umano.

Pallone di provincia da giocatore (era un buon mediano) e pallone a Coverciano da tecnico, una vita intera spesa in tuta azzurra, spiegando a uno Scirea, a un Paolo Rossi, a un Vialli o a un Baggio non come trattare una sfera di cuoio - non ce n'era bisogno -, ma come trattare una partita, un mondiale e una maglia della Nazionale. Sì, perché se della squadra delle notti italiane è stato padre, Vicini è stato lo "zio" di quella precedente, quella dei campioni dell' 82, cresciuti e svezzati agli oneri e agli onori azzurri nel cammino delle varie Under innaffiate con sapienza e lungimiranza, con il giusto mix di bastone e carota prima di un accurato passaggio di testimone al fratello Enzo Bearzot, che poteva fidarsi.

La cara vecchia scuola federale, quella di Azeglio, del Vécio, di Cesare Maldini, guarda caso tutta gente che ha realizzato i sogni di 50 milioni di italiani o comunque regalato momenti che, sotto questi cieli azzurro tenebra, sono rimasti nel cuore dei tifosi e soprattutto - a giudicare da tutte le testimonianze, dai ricordi social e no - dai suoi ragazzi, da Zenga a Franco Baresi, da Ricky Ferri a Totò Schillaci, che a Vicini dovrebbe innalzare un monumento equestre. Conoscendo la psicologia del pallonista italiano, questo è stravincere, mister. Stavolta quelli che "sì però non ha vinto nulla" non possono proprio passare. E nel frattempo, dai muri disastrati di quella Federazione che ha servito e illuminato, aspettiamo con incrollabile e forse patetica fiducia la rinascita di quella preziosa cultura azzurra: e per prima cosa, servirebbe proprio uno come lui.

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