ALPINISMO

“Siamo tutti viaggiatori, esploratori di una nuova contemporaneità”, la profezia di Hervé Barmasse  

Giro d'orizzonte con il quarantatreenne alpinista e comunicatore di Valtournenche, primo su tutte le creste del Cervino in solitaria.

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Alpinista, esploratore, testimonial: Hervé Barmasse è uno dei professionisti della montagna più eclettici ed interessanti. Abbiamo approfittato di uno dei suoi rari momenti di pausa per raggiungerlo e fare con lui una panoramica sui temi più attuali del mondo delle alte quote, ma non solo. Ad iniziare dalla sua più recente - e ricca di significati - realizzazione  alpinistica sulla... montagna di casa: il Cervino. 

Hervé, mi ha incuriosito, recentemente, una breve e “vertiginosa” sequenza che hai postato su uno dei tuoi account social e che si riferisce alla tua recente via sulla cresta De Amicis - superata lo scorso 3 marzo - una delle due creste meno conosciute del Cervino. Ci dici qualcosa in più?

La cresta De Amicis per me è… una storia. Il Cervino ha quattro creste principali: Leone, Hornli, Furggen e Zmutt. Almeno questo è quello che tutti pensano. In realtà invece… ne ha sei. Ce ne sono altre due poco conosciute (per così dire “nascoste” nel cuore della parete sud, ndr): Deffeyes e De Amicis: quest’ultima  ancora mi mancava come “solitaria”. Negli anni Trenta Luigi Carrel (una delle storiche guide del Cervino, ndr) le aveva salite tutte in prima assoluta. Mio padre, che di “Carrelino” è stato giovane portatore - le nostre famiglie vivevano a cinquanta metri di distanza - è stato il primo a salirle tutte in inverno. Ed ora io sono il primo a superare tutte le creste del Cervino in solitaria! La Deffeyes nel settembre del 2005, in terza assoluta (dopo la prima e quella invernale appunto di mio padre). Si era trattato di una salita difficile, anche psicogicamente dura, per via della qualità della roccia.  

Come tutti, anche tu hai dovuto adattare la tua attività professionale, oltre che la vita privata, alla pandemia che - lo dice la parola - ha condizionato il modo di agire e di pensare dell’umanità intera. Tu come l’hai… declinata?

Ho vissuto tutto sommato bene quest'ultimo anno problematico. L’unico vero cambiamento è stata l’assenza di viaggi. Avrei dovuto partire – già ai tempi del primo lockdown – per un progetto sull’Everest, “pulito” ed ambizioso, per il quale mi stavo preparando da ottobre 2019…! Ne ho approfittato per fare invece alcune salite impegnative e concatenamenti sulle Alpi la scorsa estate. A gennaio sarei dovuto partire per un progetto in Pakistan (non il K2 però!), ma poi ho scelto di stare con la mia famiglia, i miei genitori e le mie figlie, che sono ancora molto piccole.

Tornando brevemente sulla De Amicis e prendendola "liberamente" come... punto di osservazione, dalla sua uscita che “panorama” vedi? Nel senso, cosa scruti nel tuo orizzonte per i prossimi mesi?

Ora ho un paio di progetti nelle Alpi: voglio restituire ad altri, appena sarà possibile viaggiare, perché mi sento un privilegiato. Ho in programma un libro (non su di me ma di divulgazione della montagna). Quindi sia progetti culturali che progetti sportivi. Ed ho in programma di partire per la Patagonia in estate. Al di là dei successi, mi sento un viaggiatore... ed in questo periodo un privilegiato, appunto, perché posso muovermi liberamente. Oggi ed in futuro però saremo tutti viaggiatori, anzi esploratori di una nuova contemporaneità. Lo saremo tutti ed a lungo. Cambiano le nostre abitudini: le esploreremo tutte, a lungo.

Proprio in relazione agli aspetti etici ed ecosostenibili della tua attività  nelle vesti di testimonial, mi interessa la tua opinione su “Repair If You Care”, la campagna di comunicazione digital di Vibram che punta a sensibilizzare i consumatori ad evi tare gli sprechi, risuolando e riutilizzando le proprie calzature per il tempo libero e lo sport, come scelta consapevole legata alla sostenibilità. Iniziativa che prevede una serie di attività – digitali, appunto - su tutti i canali social e sul sito web dell’azienda di Albizzate, storico brand leader nella produzione di suole in gomma ad alte prestazioni.  

Questa iniziativa fa seguito ad altre simili e riprende un’attività – quella della calzoleria - che si era un po’ persa. Io stesso faccio risuolare le scarpe da arrampicata! C’è anche una questione… affettiva, legati ai propri ricordi. E poi rinnovare significa portare benefici all’ambiente. In un periodo nel quale tra l’altro c’è grande confusione, che riguarda soprattutto le scarpe da running più che quelle da montagna. Si mette sotto accusa la gomma ma è proprio la gomma ad assicurare la durata ad una calzatura sportiva. Insomma, questa campagna può contribuire a sfatare falsi miti.

Voglio chiederti un ricordo di due alpinisti – diversi in tutto, ma è proprio per questo che mi interessano i tuoi pensieri – vale a dire Cesare Maestri (scomparso due mesi fa) e Carlalberto “Cala” Cimenti, che ha perso la vita lo scorso 8  febbraio, travolto da una valanga insieme al suo amico Patrick Negro durante un’uscita scialpinistica.

Maestri l’ho conosciuto ad un incontro con Messner, nel 2015, molto suggestivo. Lui è l’esempio di come purtroppo, volendo criticare un aspetto di un’intera carriera, si finisce per accanirsi nella critica, distruggendo tutto il resto. E non parlo solo della vicenda del Cerro Torre. Vuoi togliere qualcosa, finisci per togliere tutto. Servirebbe più cultura della montagna perché molti non hanno riconosciuto la grandezza di Maestri. Quelli che hanno ripetuto le sue vie hanno dovuto riconoscere che Cesare era un fuoriclasse. Ed un un alpinista molto attento. Continuava a dirmi: fai attenzione…! Fai attenzione...! Per quanto riguarda “Cala” Cimenti, non lo conoscevo personalmente, solo un rapido “ciao” al Campo Base del Gasherbrum: io arrivavo, lui se ne andava. Non lo conoscevo ma quando un professionista così affermato se ne va, ti poni delle domande. Pensi alla sua famiglia e ti sento unito nel dolore, non puoi rimanere distaccato.

 

In questo periodo non è possibile affrontare una chiacchierata con un alpinista e viaggiatore del tuo livello senza chiederti un parere sui due “poli” d’interesse della stagione invernale al K2: iniziamo dal successo dei nepalesi, che non è stato esente da critiche e polemiche…

Io non pratico lo stile himalayano ma è una regola che applico a me: rispetto chi è più bravo e chi lo è di meno. Ho ammirato i nepalesi perché lo stile himalayano è sempre stato in uso. I nepalesi lo avevano dichiarato. Gli sherpa per decenni hanno attrezzato le vie per tutti. Per una volta che le usano loro, che sono loro i protagonisti, sarebbe ipocrita criticarli come è poi avvenuto. Invece è giusto applaudirli. Hanno operato ed avuto successo come team. Tanto che parliamo di successo dei dieci nepalesi e non solo di Nirmal Purja che era comunque la “star” del gruppo.

 

E per quanto riguarda la vicenda dei tre alpinisti – Sadpara, Snorri e Mohr - dispersi sulla montagna? Saranno ritrovati? Secondo te ha senso intraprendere una missione di ricerca?

Credo che una missione di ricerca sia inutile. Non si saprà mai cosa sia successo e se siano arrivati in vetta perché sarà passato troppo tempo. A meno di non trovarli proprio sotto la vetta. Alleggerire il peso della morte sarebbe una bella cosa ma non un messaggio positivo. Non è più tempo di alpinismo eroico. Le cause? un seracco che li ha travolti, magari una piccola slavina, le corde sotto la neve. Forse proprio in discesa. Erano in forte ritardo sulla tabella di marcia. Anzi probabilmente sono stati addirittura sorpresi dalla notte ancora in salita. Dispiace perché sarebbe stato un bel finale con Sadpara in vetta (dopo la sua “prima invernale” sul Nanga Parbat nel 2016). Per lui e quindi per l’alpinismo pakistano perché – anche se dopo i nepalesi – il successo sul K2 avrebbe rappresentato un salto di qualità per i portatori pakistani, come è stato per gli Sherpa del Nepal.

  

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