Daniele Nardi-Tom Ballard, un mese dopo: oltre lo sperone

I due uomini sono ancora sullo Sperone Mummery del Nanga Parbat. Non si parla più di un loro recupero in tempi brevi

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L’ultimo contatto domenica 24 febbraio. L’incidente con ogni probabilità lunedì 25. Un mese fa. Non cambiano i giorni della settimana, tra febbraio e marzo. Non cambia il destino. Daniele Nardi e Tom Ballard sono ancora sullo Sperone Mummery del Nanga Parbat.
Non si parla più di un loro recupero in tempi brevi. L’immancabile slancio iniziale ha lasciato il posto al rispetto della volontà espressa dalle famiglie dei due alpinisti. E poi alla riflessione, che non è solo quella che deve portare ad un piano concreto e realistico per un eventuale intervento. Qualcosa di più profondo, invece. Il clamore delle scorse settimane, una volta raggiunta la certezza sulla sorte dei due alpinisti (sabato 9 marzo l’annuncio di fine operazioni), ha lasciato il posto al silenzio della montagna, al vento impetuoso lungo le pareti, al sibilo delle valanghe, al ronzio insistente dell’altissima quota.
Un senso di pace.

 

Al campo base della grande montagna pakistana, una breve cerimonia. Come spesso accade in queste occasioni, sulla superficie di un piatto di alluminio è stata incisa (forse con la punta di una piccozza) questa epigrafe: “Daniele Nardi&Tom Ballard – Lost on Nanga Parbat – 25.II.2019”. Un cordino lega il piatto a due chiodi conficcati nella roccia.

Sulle montagne più alte della Terra intanto ha preso ufficialmente il via la stagione alpinistica. Sull’Everest, gli Icefall Doctors stanno attrezzando i passaggi più difficili della seraccata del Khumbu, l’incubo azzurro che separa il campo base da quelli superiori. Le organizzazioni commerciali hanno mandato in avanscoperta i loro “logistici”: si prepara il terreno (letteralmente) ai clienti che nelle prossime settimane verranno “accompagnati” verso la vetta della montagna più alta del pianeta. L’area del campo base è destinata a trasformarsi come ogni anno in una specie di Babele d’alta quota, un affollatissimo microcosmo. E pare proprio che la lingua più parlata sarà il mandarino. La Via della Seta, in questo caso, non è il nome dato ad un itinerario tracciato su una parete di roccia o lungo un pendio glaciale.

 

Simone Origone, guida alpina e asso dello sci di velocità, ha dedicato il suo sesto titolo iridato nella specialità a Nardi e Ballard. A Daniele era legato da un’amicizia nata nel corso della spedizione “K2, 60 anni dopo” del 2014, ai piedi della montagna dal nome più breve di tutte ma dalla storia lunga ed intricata come quella di poche altre.
Intanto le sagome di Nardi e Ballard restano appese in modo innaturale allo Sperone. Tacciono eppure continuano a parlarci. Fateci caso.

Le spedizioni commerciali, ma non solo. Alpinisti di primissimo piano attendono solo di tradurre i loro progetti in azione sul campo. Vie nuove oppure già aperte, lungo le quali introdurre però qualche variante, per renderle uniche e “prime”. Chi, come, dove? Non è questo il punto, non è questo il luogo. Questo è uno spazio per Daniele e Tom, ad un mese dall’incidente sul Nanga Parbat. Non ci sono novità sulla causa della loro morte. Una valanga? Caduta di blocchi di ghiaccio? Le raffiche di vento? Le condizioni proibitive della parete nella sua veste invernale? Sono letteralmente morti a causa del gelo? E d’altra parte non servono inchieste. Erano partiti consapevoli di quanto il loro fosse un sogno molto prima che un progetto. Al quale hanno sacrificato tutto.

 

“Il pensiero contiene la possibilità della situazione che esso pensa. Ciò che è pensabile è anche possibile”. Chissà se Nardi e Ballard conoscevano Wittgenstein.

Tra Sezze (luogo di residenza di Nardi) e Carpineto (il suo paese d’origine) si è deciso di intitolare all’alpinista laziale una delle cime del Semprevisa, il punto culminante dei Monti Lepini. La cerimonia sarà la prossima estate. Intanto fiaccolate ed iniziative in memoria: meritevoli ed inevitabili. Non aggiungono nulla, non sottraggono nulla. Come sempre in questo casi. Semplicemente, servono a chi resta.

Tom Ballard è ancora sulla montagna, come sua mamma Alison si trova ancora sul K2: dal 1995. Per Jim (padre e marito) e per Kate (sorella e figlia) non ci potrebbero essere luoghi più densi di significato dove pensarli e ritrovarli.

Alex Txikon ed i suoi compagni di spedizione baschi sono ormai rientrati dal K2. Hanno cercato e trovato i due sfortunati colleghi, di fatto sacrificando il loro tentativo invernale sulla seconda montagna della Terra. Progettano di tornare e con loro anche i polacchi. Questi ultimi nelle prime settimane del prossimo inverno astronomico. Txikon ancora una volta a ridosso della primavera, quella del 2020. Per riprovarci. Attratti irresistibilmente. Spinti forse da una motivazione extra, da un’urgenza. Un pensiero scomodo ma necessario.

Alpinisti da tutto il mondo si preparano ad alzare lo sguardo verso i giganti di Himalaya, Karakorum e Kashmir, ad affollarne le pendici. Letteralmente. Il contrasto con la solitudine di Nardi e Ballard è feroce ed affascinante ad un tempo. Climbers di punta e clienti delle spedizioni commerciali difficilmente avranno tempo per rivolgere loro più di un pensiero frettoloso: troppo presi dall’impegno della via, dagli impegni con gli sponsors, dal collegamento satellitare, da twitterinstagramfacebook, dalle incomprensioni con gli “ingombranti” ufficiali di collegamento. E dal sogno di un “selfie” dalla vetta … Quello che manca certamente nella memoria di pc, smartphone e tablet lasciati da Tom e Daniele al campo base del Nanga e recuperati dalla squadra di ricerca. Lì dentro ci sono invece gli sguardi determinati di due uomini spinti da un’aspirazione irrinunciabile. Occhi velati di mistero e di senso dell’inevitabile.

 

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