Superare le crisi metaboliche, gestire la fatica, fronteggiare il dolore atletico, sono tutte capacità che si imparano

L'importanza di allenare la mente

Psicologia e fisiologia vanno affrontate insieme per costruire un maratoneta sempre più solido

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Nelle corse di lunga distanza, nelle maratone e ancor più nelle ultramaratone il fattore mentale è un elemento fondamentale. Questa consapevolezza, ormai diffusa, non è una conquista di poco conto: allenatori e atleti hanno ormai capito che pensieri e biochimica coesistono, si intrecciano e si condizionano vicendevolmente.
Poi, però, cosa accade in concreto? Che si continuano a proporre piani di allenamento impostati solo sul corpo, cioè sull'obiettivo di raggiungimento della condizione fisica, senza tenere conto delle esigenze della mente.

Ma come si fa? Di solito ci si basa sull'esperienza: una volta affrontate le prime crisi metaboliche, l'atleta sensibile ripensa alle difficoltà con cui è entrato in contatto, cerca di imparare sia dagli episodi positivi sia da quelli negativi e dopo, in qualche modo, si sente in grado di gestirsi se il fenomeno si ripete. Quello che si impara per esperienza diretta, in momenti emotivamente salienti, si fissa in modo indelebile nel cervello; e se lui lì è stato in grado realmente di trovare una soluzione efficace, potrà farvi ricorso per tutta la sua carriera in ogni momento analogo.

Invece, tutto quello che sono le stimolazioni verbali del tecnico, degli spettatori, dei compagni (“Dai, non mollare!”) o le tecniche della psicologia di estrazione sedentaria (“Quando non ce la fai più, pensa positivo!”) non riescono a incidere sulla prestazione.
La presenza di emozioni, durante un'esperienza, garantisce la registrazione profonda degli apprendimenti. Quello che si impara in presenza di un coinvolgimento emotivo profondo non lo si scorda più.

Come si può rendere metodico e sistematico l'apprendimento di strategie e di soluzioni per far fronte agli ostacoli che incontreremo in gara? Lo si fa ricreando in allenamento situazioni di difficoltà, emotivamente pregnanti, e mettendo in condizione l'atleta di reagirvi positivamente.

Ciò che è essenziale è dunque:
• partire dal presupposto che gli allenamenti avranno sempre una doppia valenza, fisica e mentale;
• utilizzare esperienze emozionalmente intense (alta fatica, alto dolore, alta sofferenza) per stimolare il sistema a entrare in azione e a memorizzare il momento;
• assicurarsi che l'esperienza sia – per quanto intensa - controllabile e superabile dall'atleta: se deve fare un certo numero di ripetute, che sia in grado di ultimarle a quel ritmo dato, benché con grande fatica; se deve fare un lunghissimo, che possa finirlo, sebbene a costo di molta sofferenza, poiché, se l'esperienza si risolverà in un insuccesso, i circuiti neurali memorizzeranno il fallimento.

Quando in gara l'atleta troverà le stesse sensazioni, la memoria emotiva richiamerà alla mente la sensazione di non farcela, invece che quella del controllo della situazione.È normale che il cervello riconosca questi stimoli come un invito a rallentare, a fermarsi. Ma se è depositata nella memoria l'esperienza che questo stato di sofferenza può essere superato senza essere distrutti, questa immagine sarà utilizzata e l'atleta non si fermerà.

Un altro elemento importante nell'ultramaratona consiste nell'utilizzo del gruppo come mezzo per fornire esperienze emozionalmente intense. Anche persone che da sole avevano spesso rinunciato a interrotto l'allenamento estenuante, riuscivano invece a resistere grazie all'obiettivo di non farsi “staccare” dal gruppo.

Un contributo all'allenamento della mente per l'ultramaratona può arrivare dallo zen, inteso come la capacità di essere sempre presenti e consapevoli in tutto ciò che si fa, ultramaratona compresa. Troppe volte si vedono atleti così impegnati nel lamentarsi del proprio sforzo, o nel controllo del cronometro, da far pensare che non stiano godendo neppure un po' l'infinita bellezza del gesto atletico che stanno compiendo.
Si tratta di una minoranza, ma è un peccato che si perdano il profondo beneficio psicofisico che una corsa lunga, lenta e regolare può regalare al nostro organismo.

Non va mai perso il contatto con le sensazioni (stupende, anche se tante volte intrise di sana fatica) che il nostro corpo ci offre. Godiamole, assaporiamole, annusiamole fino in fondo.
Non perdiamo neppure una goccia di questo prezioso nettare, che è tutto nostro e che abbiamo avuto la forza di costruirci senza che ce lo regalasse nessuno.

Corriamo volando sul terreno, godendoci il vento e la strada, facendo respirare ogni cellula del nostro corpo. Di che altro abbiamo bisogno? La voglia di sorridere, di noi e di ciò che abbiamo la fortuna di avere attorno, non dimentichiamola mai lungo la strada.

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