MotoGP, Valentino Rossi: "Devastato dopo il Sic, ho proseguito per amore"

Il Dottore racconta anche il suo privato: "Oggi, dovessi diventare padre, mi piacerebbe avere un maschio"

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Valentino Rossi e il suo privato. E' quanto emerge dal numero speciale di Riders che racconta il Dottore svelando anche il dramma vissuto dopo la morte di Marco Simoncelli. "Eravamo molto amici, stavamo insieme quasi tutti i giorni; spesso, dopo l'allenamento, andavamo a cena a casa di Carlo (Casabianca, il preparatore atletico), con il Sic che portava il sushi e che ne mangiava il doppio di noi. Essere rimasto anche coinvolto nell'incidente è stato devastante e difficile da superare, ma non ho mai pensato di smettere. Mi è dispiaciuto essere lì, se fossi stato due moto più avanti sarebbe stato un po' più facile, ma con il tempo passa tutto e quando penso al Sic ho solo ricordi positivi. Sono andato avanti per amore. Sennò avrei già smesso: una situazione come quella dell'incidente di Marco non la superi. Ero già grande, avevo vinto dei Mondiali, potevo dire basta. Ho cercato di dividere le due cose: il dolore e quello che si deve fare per superare. Poi ho pensato alla carriera, che volevo continuare, volevo tornare in Yamaha e tornare a vincere".

Superato il dramma, Valentino è tornato a correre. Diventando sempre più uomo. In grado diventare, un giorno, anche padre. Qualche anno fa, proprio a Riders, il 46 aveva dichiarato di sognare una bambina. Oggi la pensa diversamente: "Certo, si parla di niente, perché in un modo o nell'altro è bello uguale. Però adesso, se potessi decidere, mi piacerebbe avere un bambino. Perché avrei più cose in comune da condividere".

Oggi, però, Rossi è coinvolto soprattutto dall'Academy: "E' l'aspetto che ci piace di più, fra tutto il resto. Ci dà gusto farla. Nasce tutto da Marco Simoncelli, che nel 2006-2007 era in crisi, non andava forte e mi diceva: 'Vale, sono nella merda e non riesco a cavare un ragno dal buco, mi fai vedere come ti alleni? Mi dai una mano? Ci alleniamo insieme?'. Io ero amico di Marco, però come tutti eravamo molto gelosi del nostro modo di preparare le gare. Eravamo titubanti. Poi alla fine Sic era simpatico e mi sono detto: 'Se c'è qualcuno che mi fa compagnia quando mi alleno o quando vado a girare con la moto da cross è bello'. Ho pensato fosse un modo per crescere e diventare più forti. Da lì nasce l'Academy. Nel frattempo arriva Franco Morbidelli e poi purtroppo arriva l'incidente del Sic. Quindi, anche un po' per ricordarlo e portare avanti tutto questo in suo onore, abbiamo proseguito con il progetto e dopo Morbidelli c'è stato mio fratello, che aveva iniziato a correre con il suo babbo e gli chiedevo: 'Ma sei sicuro?'. E poi il resto è venuto di conseguenza, in modo naturale. Tipo Migno. Nel paddock lo vedevamo girare in bici e ci faceva ridere, perché era piccolino piccolino, e allora ci siamo detti: 'Pigliamo anche Migno e diamogli una mano'. Quindi, non voglio dire che sia stato tutto casuale, ma è andata così".

Non poteva mancare un riferimento a Marc Marquez. "È impressionante quello che fa, anche perché non cade più: l'anno scorso si è salvato talmente tante volte che non può più essere un caso - ha 'ammesso' Valentino -. Per me lui si è adoperato per migliorare questa tecnica, il suo stile di guida lo aiuta, non so se è naturale o ci ha lavorato, ma lui mette il corpo fra la moto e l'asfalto per non cadere. Prima di lui non era mai successo: secondo me non è l'elettronica, ma la moto. Quando succede a Pedrosa, cade. La Honda è fatta in un modo che quando la ruota davanti si chiude continua comunque ad appoggiare, un'altra moto, tipo la nostra, se chiude davanti, la ruota tocca la carena e non la tiri più su".

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