Europa League, Roma fuori: la squadra di Spalletti fallisce ancora il salto qualità

Concretezza, lucidità, Nainggolan, Salah, Dzeko e la sfortuna: ecco io possibili motivi dell'eliminazione giallorossa

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Non è questione di "non far la stupida stasera": la Roma contro il Lione ci ha provato e ha messo in campo un grande cuore. Ma non è bastato. Al di là della sfortuna e degli episodi, la sensazione è che alla squadra di Spaleltti manchi sempre qualcosa per fare davvero il salto di qualità, che ci si fermi, insomma, sempre sul più bello. E il discorso potrebbe valere anche per il campionato. Servono soprattutto più concretezza e più lucidità.

L'eliminazione dall'Europa League brucia e anche tanto. Oltretutto se si guarda l'elenco delle squadre rimaste in corsa, non si notano certo top team imbattibili. La Roma, mai come quest'anno, poteva davvero fare sogni in grande in campo europeo. Il cammino è stato compromesso nella gara di andata: quel 4-2 rimediato in Francia, alla luce dei fatti, si è rivelato una sentenza. Il 2-1 dell'Olimpico non è bastato ma anche qui, come all'andata, fare di più era certamente nelle possibilità di una squadra che troppo spesso appare come una bella incompiuta. Certo, ci si può aggrappare a molte cose: alla "sfiga" che Spalletti dice di portare, a quel rigore non concesso ai giallorossi per la trattenuta di Diakhaby su Salah a inizio ripresa, all'ingenuità della difesa sulla prima rete francese. Ma se si vuole ampliare lo sguardo, osservare il tutto dall'alto e con una visione d'insieme, pare sempre che alla Roma manchi qualcosa. Non il cuore, quello i giallorossi hanno dimostrato di averlo in abbondanza. Piuttosto la lucidità, la concretezza, la freddezza nei momenti cruciali, quella capacità soprattutto mentale e psicologica di stringere i denti nei momenti di difficoltà e piazzare la zampata vincente, quella bravura, dosata anche dalla giusta quantità di fortuna, di far girare gli episodi-chiave a proprio favore. 

La Roma è sembrata, sulla carta, più forte del Lione ma ha subito gol alla prima occasione buona per i francesi. E se non sono in serata di gala due come Salah e Dzeko, diventa difficile trovare altre vie: lo stesso Spalletti ha ammesso di aspettarsi di più dall'egiziano soprattutto nei duelli in velocità contro i centrali francesi. Il numero 9 ha fatto tantissimo movimento ma nella ripresa quando gli spazi si sono rimpiccioliti non si è praticamente più reso utile. Nel disperato forcing finale Spalletti ha provato le mosse della disperazione rivoluzionando, di fatto, la squadra: di fronte a un Lione trincerato con l'elmetto per difendere il prezioso vantaggio, il tecnico ha levato un deludente Bruno Peres e inserito un El Shaarawy positivo e volenteroso, ha messo Perotti per un Mario Rui cui è difficile imputare qualcosa e, dulcis in fundo, buttato nella mischia il totem Totti, probabilmente alla sua ultima apparizione europea. L'ultima mezz'ora all'assalto non è bastata, perché la Roma ci ha provato con volontà e grinta ma con poca pazienza e, appunto, lucidità. Uno dei suoi uomini di riferimento, quel Nainggolan capace di spaccare in due l'Inter di Pioli, ha pressato e recuprato palloni motivo per il quale, alla fine, la stanchezza ha preso il sopravvento e il debito di ossigeno ha appannato la visuale di gioco di quello che viene definito tra i migliori centrocampisti d'Euroopa. Con gli schemi saltati e il nervosismo e la paura direttamente proporzionali allo scorrere del tempo, i giallorossi sono rimasti impantanati, incapaci di tirar fuori la loro qualità e la loro superiorità tecnica. Specchio di una squadra a tratti bellissima oltre che fortissima ma che, come in campionato, sembra sempre smarrire la via quando all'orizzonte si inizia a scorgere la linea di terra. Il fattore mentale e psicologico è sempre stato un aspetto su cui Spalletti e la Roma hanno dovuto lavorare per consacrarsi definitivamente a grande squadra. Al di là del cuore e della sfortuna.  

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