Mancini e Ancelotti, non è il derby della nostalgia

Prima l'Inter, ora il Milan e la garanzia di due tecnici che hanno fatto la storia dei due club. E la rifaranno: si spera

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E così Milano, la Milano del Pallone, per risorgere prova a fare un salto nel suo (glorioso) passato: l'Inter riaffidata -era lo scorso novembre- a Roberto Mancini, il Milan che da luglio potrebbe tornare (tornerà) nelle mani di Carlo Ancelotti. Non per caso, i tecnici più longevi dell'era-Moratti (Mancio, 4 stagioni dal 2004 al 2008, con 3 scudetti, 2 Supercoppe italiane, 2 Coppe Italia) e dell'era-Berlusconi (Carlo, 8 stagioni dal 2001 al 2009, 2 Champions, 1 scudetto, 1 Coppa Italia, 1 Intercontinentale e 2 Supercoppe europee). Longevi, vincenti. E carismatici, soprattutto. Quel che serve, quello che conta in momenti così, per ricostruire un calcio (milanese) malato e solitario nella sua caduta verticale delle ultime tre stagioni. Uomini forti, oltre i quali svaniscono anche i malumori dei tifosi: lo si è capito in questi mesi interisti nei quali le cocenti delusioni di squadra sono scolorite dinanzi al nome Mancini, all'idea e al progetto legati al suo ritorno e alla sua immagine. Chi ha mai osato contestare il tecnico?Sarà così anche per don Carlo, perché la curva rossonera non presenti più quei vuoti di colore e di passione, quello sciopero del tifo che si è come scollegato da una vita di successi, quasi azzerando il passato e senza nemmeno credere a un domani. E perché il nuovo Milan possa convivere col necessario respiro e senza l'angoscia del tutto e subito, dell'impossibilità di sbagliare e dunque di crescere, e di mettere assieme un nuovo progetto.L'Inter ha aperto una porta. Il Milan di Berlusconi ne riapre una già esplorata in passato col ritorno di Sacchi (1996) e Capello (1997), ritorni-lampo che pure finirono male, ma quella era un'altra storia, quello era un Milan reduce da 5 scudetti, 3 Champions e 2 Intercontinentali e altro ancora, era un Milan onnivoro e padrone della scena euromondiale che voleva sempre tutto e subito.
Oggi no, oggi è un'altra storia: destinata ad allenatori molto bravi, molto vincenti, di lungo corso e grandi conoscitori della piazza milanese. La linea giovane, per dire Stramaccioni (Inter), Seedorf e Inzaghi (Milan) è stata una scommessa perduta. Succede.

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