Italia, dov'è finito il talento: dopo Totti e Del Piero il nulla

Le altre nazionali si godono i fuoriclasse, noi con Buffon e Pirlo abbiamo chiuso bottega

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Con il Perù non manca più nessuno al Mondiale in Russia nel 2018 che noi, da italiani quattro volte campioni del mondo, guarderemo dalla tv. La frittata è stata fatta contro la Svezia, ma se la ricetta è semplice e chiara a tutti - tranne al presidente federale e all'ex ct - la preparazione e la cottura è durata ben oltre i centottanta desolanti minuti contro gli scandinavi.

Per grazia divina al campionato del mondo di calcio non si è mai qualificato nessuno: chi con qualità esagerata, chi con idee innovative e chi con la "garra" tipica di chi dà più di quanto si possa dare, tutti hanno trovato la chiave per non fallire l'obiettivo. L'Italia, per esempio, da quell'indimenticabile notte di Berlino sta puntando sul gruppo e una volta venuto meno, con un rapporto squalificato e squalificante con il ct Ventura, il castello è crollato mal difeso da un'assenza ormai preoccupante di campioni

La verità è che talenti di livello mondiale ormai il nostro calcio non ne produce più da un pezzo: tolti Buffon e Pirlo, gli ultimi fuoriclasse osannati e celebrati in tutto il mondo a mollare l'Azzurro - come dimostrano i messaggi d'affetto al portiere azzurro di compagni e avversari -, le stelle in grado di far innamorare molti da Los Angeles a Tokyo volando verso Oriente, appartengono tutte ad altri Nazionali. Viaggiando per gli stadi di tutto il mondo al concetto di Italia vengono associati ancora Totti, Del Piero, Maldini. E a ragione, probabilmente. La verità è che se in Russia non parteciperemo al Mondiale dopo 60 anni e per la seconda volta nella storia, è anche - e sottolineiamo "anche" - perché non abbiamo fuoriclasse. Tanti buoni giocatori, alcuni ottimi, ma nessuno in grado di imporsi come gli illustri predecessori.

Un quadro più completo lo dà un rapido quanto impietoso confronto con le altre Nazionali. Tutti, chi più e chi meno, hanno i loro giocatori simbolo, campioni chiamati a fare la differenza nel momento del bisogno. Da Cristiano Ronaldo partendo dal Portogallo all'ammucchiata spagnola che, tra una generazione e l'altra, tra un fuoriclasse e un potenziale tale, sta continuando a raccogliere risultati importanti con le nazionali giovanili. Per non parlare della Germania campione del mondo, inzuppata di talento in campo con altrettanti giovani in rampa di lancio come dimostrato nell'ultimo Europeo Under 21 e non solo. Loro di gente come Neuer, oppure di Iniesta o Sergio Ramos e via dicendo, ne avranno ancora per un po'.

La Francia può contare su Mbappé e un'altra serie di fuoriclasse in crescita che ricoprono tutti i ruoli ed esaltano migliaia di tifosi in tutto il mondo, persino la quadrata Inghilterra ha ritrovato in Kane un uomo simbolo su cui puntare finalmente per la riscossa, senza dimenticare il Belgio che con il talento di De Bruyne, Hazard e Lukaku - oltre a Courtois, ha ricostruito un'immagine planetaria. Insomma, ognuno ha il suo campione di riferimento, come noi in passato. Giocatori decisivi nei momenti chiave, come Eriksen con la Danimarca, come Cavani e SuarezMessi, Neymar Lewandowski e via dicendo. E noi? Il confronto con l'Italia è imbarazzante.

Dal 2006 a oggi abbiamo prodotto poco, ma i nostri rimpianti hanno nome e cognome: Mario Balotelli e Antonio Cassano. Loro più di chiunque altro avevano la stoffa per ritagliarsi questo ruolo, come dimostrato all'Europoe 2012, ma l'hanno sprecata cucendosi addosso un vestito troppo bizzarro per non portare al fallimento. Per il resto ci siamo snaturati, non stiamo più creando giocatori idonei alla nostra filosofia calcistica cercando di emulare gli altri, pur senza i mezzi fisici e storici per farlo. 

Siamo rimasti indietro, giochiamo un calcio vecchio e ancorato a una boria di superiorità che pur dall'alto dei nostri quattro Mondiali vinti, non possiamo permetterci. Frutto di scelte e amministrazioni sbagliate, come in Olanda e non è un caso che saranno nostri compagni a giugno con birra e tv sul divano. Il calcio di oggi è cambiato e, senza un'esame di coscienza generale e prese di posizione decise, nell'élite non prevede più l'Italia. 

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