Smith, Carlos e Norman e il podio olimpico di Città del Messico: la difesa dei diritti civili e umani una partita mai chiusa

Sedici ottobre 1968: quei pugni chiusi che fecero la storia compiono 50 anni

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I piedi scalzi, segno di povertà. I pugni alzati e i guanti neri, simbolo del Black Power. La testa reclinata, lo sguardo rivolto in basso e una collanina al collo di piccole pietre, omaggio "a ogni nero che si è battuto per i suoi diritti ed è stato linciato". Quel 16 ottobre 1968, sul podio olimpico di Città del Messico, Tommie Smith e John Carlos, oro e bronzo statunitensi nei 200 metri, si fanno storia. E con loro anche Peter Norman, l'australiano che per solidarietà con i due atleti afro-americani indossa la coccarda dell'Olympic Project for Human Rights.

Ecco, una delle immagini più iconiche del Novecento compie 50 anni. Mezzo secolo che ci divide da quel tumultuoso, controverso ma tremendamente affascinante anno che fu il 1968. Anno di speranze, illusioni e violenze. L'anno del Maggio Francese, della contestazione studentesca, delle rivendicazioni sociali, della lotta per i diritti civili-umani-politici. L'anno che negli Usa vide in aprile l'assassinio di Martin Luther King e quello due mesi più tardi di Bob Kennedy. L'anno dei carri armati sovietici a Praga. E l'anno, appunto, delle Olimpiadi di Città del Messico precedute a inizio ottobre dalla strage di Piazza delle Tre Culture.

Smith, Carlos e Norman
, simboli di una protesta che ha fatto la storia e che fu pagata con l'emarginazione. Vessati, puniti, ostracizzati dal sistema, dal potere contro cui alzarono il pugno. Vennero cacciati dal villaggio olimpico, Smith e Carlos. Uno visse poi lavando auto, l'altro come scaricatore al porto di New York. Minacciati, continuamente. Non più atleti, non più uomini, ma appestati. Espulsi persino dall'esercito per indegnità. E meglio non andò a Norman, che in Australia fu cancellato. Anche lui come atleta prima e come cittadino poi. E anche lui solo tardivamente, molto tardivamente, riabilitato.

Tre velocisti, tre uomini che quel 16 ottobre di cinquanta anni fa su quel podio chiesero rispetto e giustizia. Fecero la storia. E oggi sono ancora qui a farla, con quella foto che ci ricorda che la difesa dei diritti civili e umani è una partita mai chiusa. Una partita che ancor oggi - soprattutto oggi - va ancora giocata e vinta.

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