Indy 500: Montoya, padre di famiglia d'assalto

Il colombinao nella storia dell'automobilismo a quasi 40 anni

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A quindici anni di distanza dal suo primo successo nella 500 Miglia di Indianapolis (un record assoluto nella storia della corsa), Juan Pablo Montoya Roldan si cala nella … macchina del tempo e mette di nuovo le mani (oltre che la faccia) sul Borg-Warner Trophy che spetta al vincitore. Lo fa, il colombiano, al termine di una corsa violenta ma per fortuna non cruenta, come faceva temere la lunga serie di incidenti che avevano segnato le prove delle due settimane precedenti. La gara è stata comunque scandita nel suo svolgimento da sei periodi di neutralizzazione per un totale di quarantasette giri, quasi un quarto del totale. Le bandiere gialle hanno rallentato la corsa per incidenti che hanno indistintamente coinvolto candidati alla vittoria finale, comprimari, persino meccanici travolti ai box dai proprio piloti.

A finire contro il muro sono finiti tra gli altri Ed Carpenter (autore della pole position nel 2013 e nel 2014) e Tony Kanaan, (vincitore due anni fa), ko all'ingresso dell'ultimo quarto della distanza: quello decisivo. Il ritiro del brasiliano ha tolto al suo compagno di squadra Scott Dixon un fondamentale punto di riferimento nella sfida tra Ganassi Racing (la squadra apunto di TK e del neozelandese che partiva dalla pole) ed il Team Penske. Dixon ha guidato il gruppo più a lungo di tutti (ben 84 dei 200 giri totali) ma è come svanito nel corpo a corpo (o meglio ruota a ruota) degli ultimi dieci giri, chiudendo al quarto posto, superato anche dal compagno di squadra Charlie Kimball. Un buon risultato d'assieme per Ganassi ma niente di più perché là davanti a giocarsi il successo in volata sono arrivate le Dallara-Chevrolet del Team Penske. Costretto per ben due volte a rimontare dal fondo (prima per un contatto con la svizzera Simona De Silvestro,19esima alla fine, poi per un'infrazione ai box) Montoya ha avuto il merito di crederci sempre e nonostante tutto, presentandosi anche più lucido e reattivo degli avversari alla resa dei conti finale. Nella quale “Juancho” ha prevalso in volata sul compagno di squadra Will Power che puntava a ripetere nella 500 Miglia il successo di due settimane prima nel Grand Prix che ha luogo sul tracciato stradale ricavato nell'infield del catino. Come detto, per Montoya si tratta del secondo successo: nel 2000 il colombiano aveva trionfato al volante di una G-Force Oldsmobile proprio del team di Chip Ganassi che stavolta aveva contro. All'epoca Juan-Pablo aveva venticinque anni, talento da vendere ed una gran fame. L'anno prima aveva vinto il campionato IRL (oggi Indycar) e quel successo servì a lanciarlo nel Mondiale di Formula Uno (Williams prima, poi McLaren). Oggi Montoya va per i quaranta, è un velocissimo padre di famiglia e con la vittoria del Memorial Day ha rafforzato la propria leadership nella classifica generale del campionato Indycar. Classe, grinta e coraggio sono rimasti inalterati lungo gli ultimi quindici anni, resistenti alle delusioni accumulate in Formula Uno e soprattutto nella NASCAR. Parole di ammirazione per lui le ha spese subito dopo l'arrivo il "Capitano" Roger Penske in persona. Come segno di gratitudine per aver regalato alla sua squadra la sedicesima affermazione nella grande classica di fine maggio (la prima dal 2009), oltre alla storica doppietta Indy 500 e Daytona 500 NASCAR: lo scorso mese di febbraio con Joey Logano e la Ford. Un exploit riuscito in precedenza (nel 2010) al "solito" Chip Ganassi ed al suo team, i grandi sconfitti della 99esima edizione della 500 Miglia.

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